E DOPO CAROSELLO TUTTI A NANNA!

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E DOPO CAROSELLO TUTTI A NANNA!

DA “COSI’ MANGIAVAMO” DI STEFANIA APHEL BARZINI-EDIZIONI GAMBERO ROSSO

Verso la fine deGLI ANNI ’50, per l’esattezza nel 1957, un evento, apparentemente trascurabile, ebbe invece un enorme impatto nella vita degli Italiani: all’inizio di febbraio la Rai mando’ in onda il primo di una lunga serie di  Caroselli, la trasmissione pubblicitaria che restera’ per anni la piu’ amata da grandi e piccini.  Per noi bambini degli anni ’50 quel siparietto rappresento’ la linea di confine tra giorno e notte:  “e dopo Carosello tutti a nanna”, era un’ingiunzione perentoria e indiscutibile a cui nessuno di noi ha mai pensato di ribellarsi.    Malgrado l’avanzare del benessere e la sensazione che la ricchezza fosse ormai alla portata di tutti, il ritardo italiano rispetto alle societa’ europee piu’ avanzate, per non parlare di quella americana, era ancora enorme e si rifletteva soprattutto nella pubblicita’ di quegli anni che, fino alla comparsa del succitato  Carosello, era ancora monopolio assoluto della carta stampata.  Su giornali e riviste dei primi cinque, sei anni del decennio, le “reclame” erano infatti scarse e ben poco accattivanti, tra le piu’ gettonate c’era quella della macchina da cucire Singer, ancora ritenuta il piu’ bel dono da fare ad una novella sposa.  Comparivano  poi i primi dadi da brodo, l’estratto di carne Cirio, le caramelle al miele Ambrosoli, il panettone Motta e soprattutto il liquore Strega, considerato il massimo della ricercatezza.  La sua pubblicita’ mostrava uno scapolo incallito che si lasciava sedurre e portare all’altare da una gentile fanciulla che lo circuiva, per l’appunto, offrendogli un bicchierino dell’irresistibile elisir d’amore. A Natale poi per i piu’ abbienti c’era la possibilita’ di acquistare o di regalare le cassette dono di alcune marche celebri come la Fernet Branca, la Cavallino Rosso o la Cirio.  Iniziavano anche, abbinati a questi prodotti, i primi concorsi ad estrazione. In premio la agognatissima pelliccia di astrakan, oppure televisori, frigoriferi,  la  sospirata 500 e l’immancabile viaggio a Capri.  Insomma tutti i maggiori status symbol di quel periodo.

Carosello rivoluziono’ questo panorama un po’ asfittico e cambio’ per sempre la nostra societa’.  Fin dalla prima messa in onda l’Italia si divise in due fazioni, i piu’ che lo difendevano entusiasticamente e i pochi che lo accusavano di proporre valori consumistici e materialisti: il successo,  il desiderio del superfluo, l’invenzione dei bisogni,  il conformismo, la ricchezza e la bellezza, il mito della giovinezza e quello dell’efficenza.  Obiezioni in parte anche vere, certo e’ che se si pensa a quello che e’ accaduto in seguito, quei primi timidi passi nell’abbagliante mondo del consumismo, possono solo fare tenerezza.  E comunque a me Carosello piaceva moltissimo, senza ma e senza se.

Soprattutto, ad appassionarmi, in quei primi anni di teatrini televisivi, erano le tante avventure di cuochi e chef, perche’ all’inizio ad essere pubblicizzati furono proprio i generi alimentari come la pasta, l’olio e i  dolci.  Leggendario per esempio e’ restato nel mio ricordo “Peppino Cuoco Sopraffino”, un Carosello in cui l’attore Peppino De Filippo si sdoppiava interpretando contemporaneamente il cuoco e il suo padrone.  Aveva, questo chef, un pessimo carattere ma una straordinaria versatilita’ in cucina, i suoi erano manicaretti da far resuscitare i morti tanto che  tutti coloro che ne assaggiavano tentavano in ogni modo di accaparraserlo come chef personale. La risposta di Peppino era invariabilmente una sola : “ Io sono un libero professionista e non mi lego a nessuno!”.  Nel corso degli anni il mitico cuoco acquisto’ anche una moglie, racchia e segaligna, e ben quattro figli, tutti maschi e tutti  nati, in senso letterale, con la divisa da cuoco addosso.  Qualsiasi grande chef, e’ risaputo, ha trucchi e segreti, quello di Peppino, rivelato con orgoglio alla fine di ogni sketch, era naturalmente l’olio Dante.  Si racconta che De Filippo, da buon napoletano, fosse anche molto superstizioso e  pretendesse percio’ che accanto a lui, accucciato sul pavimento, ci fosse un assistente con un telone, pronto, in caso di disgrazia,  a raccogliere all’istante la bottiglia prima che questa toccasse terra.   Peppino non era pero’ l’unico cuoco dell’empireo caroselliano, a lui si affiancava “ Gelsomina Zero in Cucina”  la disastrosa cuoca che tentava, senza mai riuscirci, di preparare le  ricette raccontate  da Paolo Ferrari, un presentatore tv, in realta’ solo nascosto dietro lo schermo televisivo.  Ad aiutarla ci pensavano fortunatamente le zuppe in scatola Cirio, tra i primi “piatti pronti” ad essere commercializzati nel nostro paese.  C’erano poi i veri chef di “A Tavola non si Invecchia”,  che ci raccontavano un’Italia ormai perduta.  Tutti, senza eccezione, usavano con orgoglio la Margarina Flavina Extra, uno dei prodotti industriali di maggior successo di quegli anni.   E poi ancora “ Giovanna che Nessuno l’Inganna, alias Giovanna Zucchero e Panna”, una tipica massaia emiliana, di quelle che non si fanno prendere in giro da nessuno.  A tentare di spillarle quattrini ci provavano in molti e a tutti la brava Giovanna rispondeva immancabilmente:” Ma sa lei cosa ci faccio io con quei soldi? Mi compro tanto di quel brodo ( naturalmente Knorr, nda.), da far contenta tutta la famiglia!”.  Una famiglia, la sua, evidentemente composta da veri maniaci del consomme’, consumatori indefessi di minestrine con i dadi.  E non era certo l’unica.  L’Italia di allora era invasa da dadi e estratti di carne, mentre Carosello ci ripeteva fino alla nausea che “ la minestra piace il doppio con il doppio brodo Star”, o anche che “Non e’ vero che tutto fa brodo.  E’ Lombardi il vero buon brodo!”.  E intanto tutte le famiglie italiane, sedute intorno al desco,  sorridevano felici mentre nell’aria si spandeva leggero l’inconfondibile aroma dei dadi Liebig,  Althea e Invernizzi.

Se e’ vero (e io credo sia vero) che la pubblicita’ riveli meglio di qualsiasi altro mezzo l’anima di un Paese, bisogna allora ammettere che quella di quegli anni era un’Italia un po’ ingenua, parecchio stupida e soprattutto tremendamente conformista.  Un’Italia di uomini forti, sicuri di se’, piccolo borghesi e un po’ mandrilli, e di donne belle, simpatiche ma cretine, truccate e ben vestite anche mentre lavano i piatti, tutte rigorosamente casalinghe, tutte desiderose di fare felice il marito padrone, tutte angosciate da un unico assillante dilemma: quello di avere un bucato piu’ bianco del bianco.

Un Paese di semialcolizzati,  e cio’ grazie ad uno smodato consumo di aperitivi,  di gente che si lava poco e che ha quindi un costante bisogno di deodoranti, di donne chine sui pavimenti a passare  e ripassare cere che possano rendere sfavillanti le loro case.  E soprattutto, ad iniziare da quegli anni, un Paese di  incontrollati consumatori di scatolette e formaggini e di conseguenza percio’ terribilmente bisognosi di digestivi, di cordiali, di amari e dell’inevitabile Confetto Falqui, quello che  basta la parola!

La verita’ pero’ e’ che quell’Italia, inventata con tanta convinzione dai pubblicitari, non esisteva, ed e’ proprio per questo che ci piaceva tanto, perche’ era allegra, rassicurante, serena, senza problemi e irremediabilmente finta.

 

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