STROMBOLI TERRA DI DIO-PRIMA PARTE

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STROMBOLI TERRA DI DIO-PRIMA PARTE

Una meravigliosa giornata di sole nelle isole.  Da quando siamo arrivati non siamo mai scesi, il tempo è stato incerto e abbiamo preferito goderci casa e giardino. Abbiamo dormito, letto, lavorato.  Oggi il cielo è azzurro  e il sole sfolgorante, ma io ancora troppo pigra per muovermi.  Così me ne sono stata sdraiata sul lettone del patio, finchè il caldo mi ha strappato gli abiti di dosso.  Non c’è per me nulla di più rigenerante che sentire la pelle ricominciare a respirare dopo l’inverno. Al mio sguardo, distese come meduse nell’acqua le isole dondolavano lievi, l’aria così nitida che si vedeva in lontananza Stromboli, Iddu, il vulcano e il suo pennacchio di fumo.  E allora sono tornata con il pensiero alla prima volta che sono arrivata alle Eolie, ormai 40 anni fa. E la prima fermata era stata Stromboli, che non potrò mai dimenticare.

“La prima volta che ho messo piede alle Eolie e’ stata quasi 40 anni fa.  Arrivai a Stromboli all’alba di un mattino di Luglio a bordo di un catamarano di legno di cinque metri e mezzo.  L’equipaggio era costituito da tre persone: Emanuele, skipper e proprietario della barca, nonche’ l’unico che sapesse andare a vela, Gregorio, il mio ragazzo, ed io.  Il piu’ giovane aveva vent’anni, il piu’ vecchio ventidue. La mia mansione era quella di cuoca e mozza tuttofare, quella di  Gregorio  di assistente del capitano.  La barca non era il massimo della comodita’, un vecchio scafo basso nel quale era impossibile stare in piedi, il che rendeva il mio compito di cuciniera piuttosto arduo ne’ facilitava le cose il fatto che avessi a disposizione solamente un fornello basculante.  Ringraziando il cielo la ciurma era di bocca buona.  In compenso il catamarano schizzava velocissimo anche con la brezza piu’ lieve.  L’attrezzatura di bordo era risibile: una vecchia bussola che in seguito scoprimmo essere mal tarata, un log, un contamiglia marino, che ci fu tranciato di netto alla prima uscita, qualche carta nautica e un portolano obsoleto.  Niente luci di posizione sull’albero e una vecchia trombetta a fiato per segnalare la nostra presenza nella nebbia.  Di contro avevamo pero’ la beata incoscienza dei vent’anni che mai, neanche per un attimo ci fece temere che quello che avevamo davanti non sarebbe stato altro che un  meraviglioso viaggio.  E fu infatti una fantastica avventura.

Eravamo partiti da Fiumicino, destinazione le isole greche dello Ionio.  Ci attendeva un lungo viaggio.   Una forte burrasca ci aveva costretti a sostare per alcuni giorni a Capri e poi a Marina di Camerota.  Quando il vento si calmo’ riducendosi ad una brezza sostenuta decidemmo di salpare.  La prossima tappa sarebbe stata Stromboli.  Al tramonto i due uomini dell’equipaggio decisero di essere stanchi e di non avere nessuna voglia di fare la notte al timone.  Con assoluta calma Emanuele mi consegno’ le redini, del tutto indifferente al fatto che io non avessi mai governato neanche un gozzo a motore: non avrei dovuto fare altro che seguire la rotta precedentemente calcolata, ad un certo punto, all’orizzonte avrei scorto la luce di un faro.  Li’ era Stromboli, non potevo sbagliare.  Cio’ detto il capitano si mise a dormire seguito a ruota dal suo marinaio di fiducia.  Mi ritrovai sola nella pace di una notte perfetta, la brezza spingeva il catamarano che filava sul mare tranquillo, come un puledro al trotto.  Osseervavo la volta stellata sopra di me e mi sembrava quasi di vederne la curvatura.  Il mare mandava riflessi fosforescenti e il perfetto silenzio era rotto solo dal russare della ciurma e dallo sciabordio degli scafi.  Ogni tanto qualche pesce volante guizzava fuori dall’acqua schiantandosi con un colpo secco nel pozzetto, lo prendevo e lo ributtavo in mare.  All’improvviso, dal nulla come in un film di Fellini, apparve nella notte scura un enorme mostro d’argento,  una nave gigantesca e silenziosa, veniva dritta verso di me, talmente vicina che riusci a leggerne il nome in caratteri cirillici.  Una nave russa da crociera. I ponti esterni erano deserti, dalla nave non proveniva il piu’ piccolo rumore.  Sembrava un battello fantasma.  Fui presa dal panico, ero certa che nessuno ci avesse visti e che di li’ a poco saremmo stati spazzati via da quel gigantesco mostro marino.  Mi ricordai improvvisamente che Emanuele ci aveva detto che vista la nostra mancanza di luci di orientamento, l’unica possibilita’ in casi come questi era quella di illuminare le vele.  Avevo la torcia a portata di mano e mi misi freneticamente a illuminare la nostra piccola randa.  Mi auguravo solo che Vladimir, Igor,  Andrej o comunque si chiamasse il capitano della nave russa, non avesse deciso di farsi una bella dormita e di innestare il pilota automatico.  Decisi che non avrei comunque svegliato l’equipaggio, non  sarebbe servito a nulla e in piu’avrei dovuto ammettere la mia colpevolezza, spiegare come era potuto accadere che quella torre bianca mi fosse apparsa all’improvviso di fronte senza che me ne accorgessi. La cosa era incomprensibile persino a me stessa.  Mi preparai percio’ all’inevitabile: il Titanic russo non avrebbe subito grossi danni ma il povero iceberg se la sarebbe vista brutta.  Per fortuna Igor non dormiva, la nave viro’ improvvisamente e scompari’in silenzio cosi’ come era apparsa.  La ciurma continuava a russare ignara dello scampato pericolo.  A questo punto desideravo solo scorgere  le luci del faro e come in risposta alla mia preghiera ecco apparire, lontani all’orizzonte, dei bagliori intermittenti, dovevo solo seguirli e sarei finalmente arrivata a destinazione.  L’unica cosa che mi dava da pensare era che queste luci invece di avere un’intermittenza regolare come quelle di qualsiasi faro, apparivano invece ad intervalli discontinui, forse, pensavo, a causa di qualche nuvola all’orizzonte o ad un gioco di riflessi nel cielo notturno.  Man mano che mi avvicinavo pero’ la luce si tingeva di rosso fuoco e solo allora capii che non stavo inseguendo un faro bensi’ il vulcano stesso.  La natura aveva deciso di regalarmi il piu’ grandioso spettacolo di fuochi d’artificio al mondo.  Circa ogni dieci minuti infatti la cima del vulcano (riuscivo oramai a riconoscere nel buio, in lontananza, il cono perfetto della montagna) esplodeva con un rombo sordo di tuono, un lungo getto infuocato guizzava nell’aria per poi ricadere rumorosamente sul fianco della montagna e scivolare a mare crepitando come un enorme serpente di lava.  Non e’ un caso infatti che lo Stromboli sia chiamato la “vedetta” delle Eolie o il “faro del Mediterraneo” e con la testa ancora fresca di studi recenti mi ricordai che era proprio dentro questo vulcano che Eolo aveva il suo palazzo e teneva imprigionati i suoi venti: “ E all’isola Eolia arrivammo; qui stava Eolo Ippotade, caro ai numi immortali, nell’isola gallegiante: un muro di bronzo indistruttibile, la circondava, nuda s’ergeva la roccia”.  E quello che nell’alba ormai vicina emergeva dalle acque era un triangolo perfetto, la greca Strongyle, la rotonda, con le sue pareti dure e nere, lustre come se fossero state tirate a lucido, piu’ somigliante ad una gigantesca trottola di bronzo che ad un’isola di pietra.

Accanto all’isola, come un’appendice estrema, a circa un miglio dalla riva si innalzava uno strano castello fatato, l’isolotto di Strombolicchio.  I venti, il mare, i terremoti e le eruzioni hanno creato questa bizzarra creatura marina e avvicinandomi mi sembrava di scorgere nelle rocce animali giganteschi, un coniglio, un cavallo e un cane barbone per sempre pietrificati da qualche oscuro sortilegio.  Quest’isola di lava una volta era alta 56 metri ma nel 1920 fu ridotta a 43 metri per poterci installare un faro (quello che avevo inutilmente cercato nella notte scura).  E’ poi stata costruita una scala di 200 gradini e oggi, che il faro e’ stato automatizzato e che sull’isola possono metterci piede solo i militari, ci vivono indisturbate intere colonie di uccelli marini che nidificano sulle pareti scoscese.  Si dice anche che le acque scure di questo isolotto siano infestate dai pescecani.  Quella mattina pero’ tutto questo non lo sapevo mi affrettai cosi’ a svegliare l’equipaggio, non volevo che perdessero lo spettacolo dell’arrivo in quell’isola incantata.  Un’alba perfetta tingeva di un rosa tenue il cielo azzurrino, il mare aveva il colore del cobalto, un blu cosi’ intenso da sembrare quasi nero, sulla terra scura come la pece si stagliavano poche cubi di un bianco accecante, qualche palma dondolava leggera nel vento.  Il silenzio regnava assoluto.  Non credo di aver mai provato un’emozione cosi’ struggente come quella mattina alla vista di Stromboli.  Avevo la sensazione di non essere in Italia ma in qualche paese straniero e lontano, sulle coste dell’Africa.  Scendemmo a terra alla ricerca di qualcosa da mangiare.  L’isola sembrava deserta, viottoli e viuzze di calce bianca si snodavano tra terrazze e bassi muretti.  Non si vedevano negozi ne’ tantomeno ristoranti.  Seduto fuori da una casa un uomo di eta’ indefiniva portava un cappello con una scritta: Peppino Information.  Era, scoprii in seguito, l’Ufficio Informazioni itinerante dell’Isola.  Mi disse, in dialetto strettissimo, che avrebbe potuto vendermi un po’ di pomodori e mi spiego’ anche come preparare con i medesimi un piatto di spaghetti alla strombolana.  Fu l’unica informazione che riuscii ad ottenere insieme a quella che era meglio che salpassimo in fretta e ci dirigessimo verso Lipari, l’unico porto ad avere un certo ridosso dai venti, perche’ stava arrivando “malo tiempo”.  Era il vulcano a dirlo. E che il vulcano “parlasse” era cosa risaputa da secoli.  Non e’ un caso infatti che l’isola fosse il regno del re dei venti, non tanto e non solo perche’ l’isola provocasse le tempeste, quanto perche’ gli abitanti erano in grado di predirre, osservando l’attivita’ del vulcano e la direzione del fumo che esce dal cratere, quali venti avrebbero spirato e che tempo avrebbe fatto.  “Eolo- scriveva Diodoro Siculo- grazie alla sua lunga osservazione dei presagi offerti dal fuoco, prevedeva i venti locali senza mai sbagliare, per questo il mito lo designo’ custode dei venti”.  E il solito Salvatore d’Austria narra che “….Quando spirano piu’ venti, la direzione del fumo dello Stromboli indica quello predominante a largo, sul mare aperto……i boati e il fumo denso dello Stromboli, ulteriore prova della connessione tra l’attivita’ vulcanica e le oscillazioni barometriche, sono ritenuti dai pescatori segni premonitori di cattivo tempo.” E gli Strombolani, ancora oggi, non hanno dimenticato. Cosi’ salpammo l’ancora velocemente.  Giurai a me stessa che in quell’isola appena sfiorata sarei tornata presto”.

 

DA “A TAVOLA CON GLI DEI-RICETTE E MEMORIE DELLE ISOLE EOLIE-GUIDO TOMMASI EDITORE”.

 

 

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