U ‘RRE: IL PESCE SPADA

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U ‘RRE: IL PESCE SPADA

CHI E’

Noto fin dall’antichità, diffuso in tutte le acque temperate del globo, nel Mediterraneo é abbondante soprattutto in Sicilia, in Calabria e nello Stretto di Messina, zone che costituiscono anche le principali aree di riproduzione.  Lo spada é stato, a torto, considerato un feroce abitatore dei mari, motivo per cui lo si vede raramente raffigurato nell’arte antica. Il pescespada è l’animale marino più veloce, dopo il pesce vela, grazie alla grande coda che gli permettere di superare i 93 km orari Questi pesci raggiungono grosse dimensioni, con una lunghezza massima di oltre quattro metri e un peso che può superare i 400 chili.  Quello più pesante fu pescato in Cile nel 1953 e pesava 655 chili. La caratteristica più ovvia é la spada, lunga fino a un terzo dell’intero corpo, composta da materiale osseo e molto pericolosa se usata come arma di offesa e di difesa dall’unico predatore, uomo a parte, che comporta un serio pericolo alla vita del pesce spada: losqualo mako. Può scendere fino a 800 metri di profondità e quando nuota in superficie fa grandi balzi fuori dall’acqua.

PESCE SPADA PAPALE

 Diego Vitrioli é stato un latinista e un poeta famoso ai suoi tempi e oggi un po’ dimenticato.  Nacque a Reggio Calabria nel 1818 e la sua opera fu famosa fu il poemetto Xiphias che rievoca le emozioni della pesca del pescespada nello stretto tra Scilla e Cariddi. Nel maggio del 1896 per iniziativa del Cardinale Gennaro Portanova arcivescovo di Reggio, fu offerto al Papa Leone XIII un sontuoso pescespadaaccompagnato da un epigramma del Vitrioli che così recitava: “Giacché una volta Cristo a te diede le mistiche reti riceviti ora, o sommo Pontefice, un pescespada. Esso preso sotto i gorghi di Scilla con celebre barchetta, ben volentieri viene ai tuoi piedi. Avrebbe voluto venire in una sua compagnia una torma di pesci, quanto ne nutrono le acque del turrito Faro, ma il nostro pescespada quale abitante del siculo stretto si dia solo esso piuttosto in pasto al Pontefice. Sia questa la gloria più grande di questo pesce vagante per i flutti del mare, sia questa la somma gloria dell’Uomo armato di tridente. Ordunque addio conchiglie e rombi delle acque del Faro, il pescespada saporito sia dato in pasto al Pontefice”.

LA LEGGENDA

Già la mitologia greca si era interessata a questo straordinario pesce che popola da millenni le acque dello stretto di Messina, facendolo derivare dalla trasformazione dei bellicosi Mirmidoni, guerrieri abilissimi e coraggiosissimi della Tessaglia.  I Mirmidioni vollero vendicare l’uccisione del loro condottiero Achille e così cercarono un corpo a corpo con i Troiani, ma questi rifiutarono il combattimento in campo aperto.  Presi da furia e disperazioni i valorosi Mirmidioni si gettarono in mare e si lasciarono affogare.  Fu allora che Teti, dea marina e madre di Achille, li tramutò in pesci e laciò a loro, quale riconoscimento del grande valore, il possesso della spada trasformata in un lungo rostro sul muso. Tale é ancora l’alone di legenda che circonda questo pesce che a esempio, i pescatori professionisti quando ne prendono uno sono soliti incidere una doppia croce sulla branchia sinistra, in segno di rispetto e per allontanare dall’equipaggio la vendetta dello spada ucciso.

QUESTO SI’ CHE E’ AMORE

Una delle qualità più toccanti del pesce cavaliere, così chiamato non solo per vi della sua potente appendica quanto per la sua fierezza nel combattimento e per la sua tenacia nella lotta, é proprio il grande amore che lo unisca alla sua consorte.  Quando questa viene arpionata, il maschio impazzisce letteralmente dal dolore e insegue la barca assassina nuotando con il capo fuori dai flutti, quasi volesse implorare di essere ucciso allo stesso modo.  E’ allora che il fiocinatore lo infilza con il suo rampone, non prima però di aver invocato San Marcu binidittu, protettore di questo tipo di pesca.   La bravura del pescatore sta tutta nel modo in cui arpiona la bestia: il rispetto per questo animale é tale che si cerca di renderne la cattura il meno dolorosa possibile.  Dopo una strenua lotta il cuore del pesce cede e lo si issa sulla barca.  La considerazione mostratagli in vita gli sarà manifestata anche in morte.  Del pesce spada infatti, come del maiale, non si butta via niente, non a caso gli antichi lo chiamavano il cuoco degli dei. La sua carne é usata in mille ricette: la parte molle della pancia, la surra,é usata per preparare gli involtini, con la testa si fa il sugo per la pasta e con gli scarti una gustosa zuppa.

LA PESCA

 Quella del  pesce spada è una pesca molto caratteristica e per molti anni é stata praticata all’antica maniera dei fenici, unico popolo che abbia svolto mestieri tutti legati al mare. Si pescava su postazioni stabilite, tutte vicine alla costa, assegnate col sistema del sorteggio e utilizzate a rotazione giornaliera dagli equipaggi.  I pescatori che non disponevano di alture sul mare, pescavano con il luntro o lafeluca, cioè l’avvistatore issato sulla cima dell’albero, che scruta la superficie del mare per scoprire la presenza del pesce. L’attesa poteva durare parecchie ore, quando il pesce era avvistato, l’uomo vedetta lanciava un grido, uno strano termine in dialetto greco, anzi si racconta che anticamente i pescatori siciliani per catturarlo gli sussurrassero una filastrocca in grecale, il pesce rimaneva immobile ad ascoltare incantato trasformandosi così in facile preda.  Lo strumento usato per colpire il pesce era detto ferru, ed era impugnato da un uomo solo, il fariere, che se ne stava a prua pronto al colpo.  Il resto dell’equipaggio era impegnato a raggiungere il punto segnalato.  Raggiunto il pesce, l’arma scattava fulminea, lo uncinava e lo tirava sulla barca fremente e guizzante.

LA CANZONE

 Forse una delle più belle canzoni di Modugno, quella che racconta è la tragica storia d’amore di una coppia di pesci spada. La femmina è stata catturata durante la mattanza ed esorta il compagno a salvarsi, ma il pesce si lascia catturare per morire con lei.

“Te pigghiaru la fimminedda,

drittu drittu ‘ntra lu cori

e chiancìa di duluri

ahi ahi ahi ahi ahi ahi…

 

E la varca la strascinava

e lu sangu ni currìa,

e lu masculu chiancìa

ahi ahi ahi ahi ahi ahi…

…………………………

Daje, daje, lu vitti, lu vitti, lu vitti!

C’è puru lu masculu! Pigghia la fiocina! Accídilu, accídilu, aahhhà!

 

Chista è ‘na storia

d’un piscispàda:..

storia d’amuri…”

RACCONTO DI MARE

 Questa pesca si fa soltanto lungo la costa del faro, dopo la lanterna, vicino al porto di Messina, fino ai dintorni di Scilla. Vi sono otto, dieci o dodici barche destinate a tal uso.  In mezzo ad una di esse si alza un lungo albero, in cima al quale un uomo fa da sentinella, e guarda i segnali che gli fanno gli altri uomini, arrampicati sulle rocce della riva o sul castello di Scilla, da dove, osservando il mare quasi perpendicolarmente si vede dove è il grosso pesce che si cerca; l’uomo posto in cima al palo ripete i loro segnali e indica agli uomini che sono nel battello, con grida e termini derivanti dall’antico greco, i giri che fanno i pesci”. Jean Howell-Pittore francese

 

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