IL RAGU’ DI LAURA

aura Rangoni è una mia amica, food blogger, scrittrice, appassionata di cibo, gatti e cucina.  Laura è emiliana, vive a Savigno, vicino a Bologna, e da brava emiliana è maestra nella sottile arte del ragù.  Quando vedo le sue foto di ragù vorrei essere lì con lei a dividere un piatto di fantastiche tagliatelle.  E quindi vi regalo la sua ricetta del ragù, così come la racconta nel suo romanzo “La Trattoria di Oriele”.  E così come l’ha scritta ne “Il mio Libro dei primi piatti” per la casa editrice Giunti.

 

Ho acceso la stufa a legna, sebbene faccia già abbastanza caldo, e ho messo su un grosso tegame di coccio con un po’ di olio, un bel pezzo di burro, sedano, carota e cipolla interi, e li faccio rosolare piano piano, mentre preparo il battuto di pancetta.

Oriele tritava gli odori, e metteva un sacco di carota, che costa meno della carne e fa volume. Io li lascerò interi, perché devono rilasciare il loro sapore senza essere invadenti, come le comari al mercato.

 

“Ho trovato esattamente la pancetta che volevo, bella grassa, con venature rosa vivo, e una conza saporita. Mi sono fatta tagliare delle fette, e ora le ho messe sulla pistadura, che i veri chef chiamano asse di legno, e la sto pestando a mano, con un grosso coltello. Se usassi un tritacarne l’operazione sarebbe molto più rapida, ma in questo modo sono sicura che il grasso non si scalderà, prendendo quell’inconfondibile sapore di rancido che è come una nota stonata in una sinfonia.

È una faticaccia, ma ne vale la pena.

 

Ora che le verdure sono appassite, aggiungo la pancetta, e nel frattempo pesto anche il prosciutto crudo. È morbido anche se stagionato, non secco come quello che ho trovato in frigorifero, ed ha un bel grasso bianco e tenero. Anche per lui seguo lo stesso sistema: lo pesto grossolanamente col coltello. Dev’essere meno fine della pancetta, che si scioglierà, mentre si deve sentire sotto ai denti il nerbo del prosciutto.

 

Anche sul prosciutto Oriele risparmiava, sostituendolo con la salsiccia, che costa molto meno.

A volte, nelle grandi occasioni, faceva il ragù solo di prosciutto per condirci le strette. Usava il gambuccio, la parte finale, che è sicuramente la più saporita, ma anche la più dura e nervosa.

Lo tritava col tritacarne che mi sta guardando minacciosamente. È un aggeggio anteguerra, che presto appenderò al muro come oggetto ornamentale.

 

Ora che la pancetta è quasi sciolta, aggiungo il prosciutto e mi metto a pestare anche un paio di fegatini e magoni.

 

Aspetto che il soffritto rosoli, mescolando con un lungo cucchiaio di legno.

 

Giorgia mi ha espressamente ordinato di usare quel cucchiaio, che è il cucchiaio da ragù, ed è diverso dagli altri cucchiai di legno usati per sughi, umidi e cose simili.

L’ho accontentata.

Forse c’è una magia negli oggetti, e chiede solo di sprigionare il suo potere a contatto con gli elementi giusti.

Ho aggiunto i fegatini e i magoni ben tritati, li ho lasciati rosolare giusto qualche minuto, affinché non induriscano, poi ho aggiunto la carne. Metà lonza di maiale tritata e metà trita di manzo da sugo.

 

Adesso il problema è il vino. Ho trovato un’albana che Oriele faceva imbottigliare dal contadino Armando.

Mi ricordo quel signore, singolare, davvero strano. Chissà se è ancora vivo.

Era uno zitellone, un single diremmo noi di città, che viveva in un enorme fondo con una colombaia piena di piccioni, un bell’orto e tanta vigna.

Faceva diversi tipi di vino, ma a Oriele piaceva l’albanina, un bianco torbido ma profumato, leggero e beverino, col quale ho preso la mia prima sbronza da adolescente.

Ora l’anima divina del vecchio Armando finirà nel mio ragù, assieme ai versi di Dante, in onore di mia nonna. So che Oriele approverebbe.

 

Ho messo un bel bicchiere di albana, ho tolto il coperchio e l’ho lasciato evaporare a fuoco allegro, sempre mescolando con il signor Cucchiaio Da Ragù.

 

Altro dilemma: che pomodoro usare? Sono scesa in cantina ed ho trovato alcuni vasetti di conserva. Li avranno fatti la scorsa estate Oriele e Giorgia, da sole, o con l’aiuto di qualche comare.

Credo che per il ragù vada bene.

E anche questa volta sono sicura di non incorrere nella maledizione del fantasma di mia nonna.

 

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Ora basta lasciarlo cuocere, e così sia”.

 

 

La ricetta ufficiale del ragù alla bolognese, depositata il 17 ottobre 1982 dalla delegazione di Bologna dell’Accademia Italiana della Cucina presso la Camera di Commercio, è sicuramente ipercalorica, adatta quindi alle grandi occasioni, e da consumarsi con moderazione. Originariamente, si cuocevano in pentole distinte le verdure e la carne, che deve quasi arrostire, perdendo tutti i liquidi, ma per comodità, se sostituiamo la cartella di manzo, che è una carne parecchio grassa, con la comune carne trita, possiamo risparmiarci l’uso di una padella.

 

Ingredienti per 4 persone

 

300 g di tagliatelle all’uovo

100 g di carne trita di manzo (ci vorrebbe la cartella, il diaframma del bovino)

100 g di carne trita di maiale (meglio se lonza)

100 g di prosciutto crudo

100 g di pancetta arrotolata

1 costa di sedano

1 carota

1 cipolla

50 g di burro

1/2 bicchiere di vino bianco

1/2 bicchiere di olio extravergine di oliva

2 cucchiai di triplo concentrato di pomodoro (o 1/2 bicchiere di passata)

1 bicchiere di latte intero

sale e pepe nero

 

Tritate con un mixer la pancetta. A parte tritate finemente sedano, carota e cipolla.

Mettete in una pentola dai bordi alti (io uso una pentola di coccio, ma va bene anche una antiaderente) il burro e l’olio e fateli sciogliere a fuoco dolce.

Quando saranno sciolti unite la pancetta, mescolando con un cucchiaio, e fatela rosolare a fuoco lento, per almeno 10 minuti. Quando la pancetta avrà preso un colore uniforme, unite il trito di verdure, mescolate e lasciate rosolare per ancora 10 minuti.

Tenete sempre il fuoco basso. Aggiungete poi il prosciutto tagliato a dadini piccolissimi, o passato anch’esso nel mixer, e mescolate. Dopo qualche minuto aggiungete i due tipi di carne, avendo cura di rompere bene eventuali blocchi con un cucchiaio di legno. La carne deve rosolare lentamente e dolcemente a tegame scoperto per 25-30 minuti. Aggiungete il vino, mescolate e lasciatelo evaporare.

A questo punto unite il pomodoro. La tradizione della mia famiglia prevede di usare il concentrato di pomodoro, perché la passata, contenendo anche tanta acqua, “allunga” il sapore del ragù. Mettete il coperchio e fate cuocere a fuoco dolce, lasciando sobbollire per almeno 2 ore, mescolando di tanto in tanto. Salate, insaporite con una macinata di pepe nero e unite il latte. Lasciatelo assorbire per altri 15-20 minuti.

Portate a ebollizione una pentola con abbondante acqua salata e cuocetevi la pasta che preferite. Ovviamente, la pasta canonica sono le tagliatelle all’uovo, ma si può utilizzare il ragù anche con pasta corta e grossa tipo maccheroni, gobbi o rigatoni. Scolate la pasta al dente, conditela direttamente nella pentola, ricoprendola di ragù e servite nelle singole fondine.

Sono contraria alla spolverata di parmigiano sulla pasta con il ragù, ma siccome so di non poterlo impedire, se proprio volete, servitelo a parte.

 

Vino in abbinamento: Lambrusco. Posso sopportare un Sangiovese di Romagna; se bevete altro, non fatemelo sapere…

 

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